Politica

In piazza sfila la dignità del lavoro: "Orgogliosi di essere così tanti, e tutti insieme"

In attesa dei dati ufficiali, si contano comunque migliaia di persone in corteo a Brescia per la Festa del Lavoro: il serpentone da Piazza Garibaldi, i tre comizi in Piazza Loggia, Piazza Rovetta e Piazza Mercato

Il comizio dei sindacati in Piazza Loggia - Foto (C) BresciaToday.it

“Orgogliosi di essere qui oggi, così tanti e tutti insieme”. Forse non serve altro, forse basta questo per raccontare la giornata del Primo Maggio a Brescia: migliaia di persone in corteo per le vie della città, striscioni e bandiere e canzoni, le immancabili coccarde rosse che vengono distribuite da instancabili volontarie. Il serpentone è lungo, come sempre lunghissimo: parte da Piazza Garibaldi e attraversa tutto il centro, la banda cittadina a fare da apripista, i sindacati confederali che dedicano la manifestazione alla spesso mancata sicurezza sul lavoro, lo spezzone antagonista che si fa cantore di Robin Hood con l’emblematico striscione “Dateci il denaro”, il corteo di Lotta Comunista che dal megafono canta l’Internazionale, e su manifesti e volantini cita volentieri Karl Marx, a 200 anni dalla nascita.

“Non si può morire di lavoro”: di questo Cgil, Cisl e Uil parlano in Piazza Loggia, della strage silenziosa che solo in Italia fa più di 1200 morti l’anno, le morti bianche e silenziose, sono quasi quattro al giorno. “Non si può uscire di casa e non tornare più”: quante volte, troppe volte. “Siamo in piazza per difendere i lavoratori, le loro competenze, la loro intelligenza: siamo in piazza perché dobbiamo batterci ogni giorno per un lavoro sicuro, contro la corruzione e l’evasione fiscale, contro la pratica del massimo ribasso, del dumping dei salari”.

Quasi non si parla del governo che non c’è, non se ne sente la mancanza. Piuttosto si citano “i lavoratori invisibili, le categorie dimenticate: niente passi indietro sulle conquiste di civiltà, non è tagliando i salari o le competenze che si diventa competitivi”. Dagli antagonisti di Piazza Rovetta sventolano bandiere di ogni colore, non manca lo striscione che recita “Senza confini”, sul furgone che suona anche i Subsonica il vessillo delle Ypg curde e siriane e pure il volto sorridente di Ocalan.

Finito il comizio, tutti al parco: in Via Nullo “per sfidare le politiche securitarie”, al microfono la sfida è rilanciata “contro soggetti politici e vigilanti che si permettono di sconvolgere la vita della zona”, la critica tutt'altro che velata a quelli che vengono definiti "solo dei progetti di abbellimento, come in Via Milano,  che servono solo a spostare i problemi, per tenere lontani i poveri e quelli che danno fastidio". Poi ci sono gli internazionalisti: come da tradizione tutti in fila, bandiere e striscioni, le note dell’Internazionale, il comizio in Piazza Mercato.

Più o meno un migliaio di persone, forse un terzo o forse la metà di tutto il corteo poco importa: dal palco si citano Marx ed Engels e “la militanza politica a testa alta”, si parla di immigrazione e degli “operai che non votano”, non solo quelli che per scelta si astengono dalle urne – ben oltre il 50% nei quartieri popolari delle città italiane – ma anche “quelli che non hanno diritti politici, i tanti operai immigrati che lavorano con noi, portano i figli a scuola con noi eppure è come se non esistessero, una grande vergogna”. Il senso aggiornato dell’antifascismo: “Sono solo tre cose, e le ripeteremo sempre, accoglienza, accoglienza e accoglienza”.

Il richiamo al tema dei morti sul lavoro: “Il prezzo da pagare per lo sviluppo della società imperialista, in nome del profitto ci state ammazzando nelle fabbriche”. La politica parlamentare, dicono, “alle prese con il suo cretinismo: mentre Berlusconi e Salvini fanno i cialtroni e se la prendono con gli immigrati non si accorgono che le Regioni con il più alto tasso d’immigrazione sono quelle con la più alta produttività”.

E il gran finale, che ha sempre un qualcosa di romantico. “Proletari di tutti i Paesi, unitevi”: lo ripetono uno alla volta i ragazzi stranieri dei Circoli operai, lasciano gli striscioni e salgono sul palco, lo dicono nella loro lingua d’origine. E sono tanti: dalla Croazia al Senegal, dal Bangladesh al Burkina Faso, dall’Albania alla Tunisia, dal Brasile alla Costa d’Avorio.


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