Politica

Appalti pilotati, la rabbia per chi non ci stava: "Gli spezzo le gambe"

Blitz dei carabinieri a margine dell'inchiesta sugli appalti pilotati della Valcamonica: arrestato, tra gli altri, anche il sindaco di Malonno Stefano Gelmi

Il vaso di pandora degli appalti in Valcamonica: una cordata di imprenditori, in tutto una quindicina, che sarebbero stati preventivamente informati e “addestrati” sui bandi di gara in arrivo. Finché qualcosa non è saltato, e un imprenditore si sarebbe rifiutato di non partecipare a una gara, in cambio di un altro appalto: “Pago quattro albanesi e gli faccio spaccare le gambe”, avrebbe detto in un'intercettazione uno degli indagati eccellenti.

Si parlerebbe del sindaco di Malonno Stefano Gelmi, geometra di 41 anni che si è già dimesso dall'incarico – il Comune da qualche mese è commissariato – ma che adesso è stato arrestato, e condotto a Canton Mombello dai carabinieri, il braccio operativo dell'inchiesta coordinata dalla Procura e dal pubblico ministero Ambrogio Cassiani.

Insieme al sindaco sono stati arrestati anche gli imprenditori Remo Fona, Rocco Mastaglia e Andrea Cattaneo, i dipendenti pubblici Gianpaolo Albertoni e Morena Piloni: per loro sono scattati i domiciliari. Obbligo di firma invece per gli altri coinvolti nell'inchiesta: Silvano Andreoli, Alberto Avanzini, Bruno Cioccarelli, Alessandro Gelmi, Giuseppina Lanzetti.

Sotto la lente degli inquirenti la Centrale Unica di Committenza dell'Unione delle Alpi Orobie bresciane, da cui sarebbe stato orchestrato tutto (e il sindaco Gelmi ne sarebbe stato uno dei registi). Tutti gli appalti infatti transitano dalla Centrale Unica: di questi appalti ne sarebbero stati dirottati almeno tre, tutti per il Comune di Malonno, per oltre 1 milione di euro.

“Le ditte compiacenti venivano informate preventivamente della pubblicazione del bando di gara – si legge in una nota del Comando provinciale dei carabinieri – al fine di poter saturare con le loro offerte il numero dei concorrenti ammissibili alla procedura negoziale e ridurre al minimo i ribassi d'offerta. Le ditte costituivano una vera e propria cordata allo scopo di far vincere una determinata impresa e beneficiare dei conseguenti sub-appalti, evitando così una scomoda concorrenza”.

Per i militari una sorta di “cartello”: tutti a vario titolo, si legge ancora nella nota dei carabinieri, “realizzavano un profitto a spese della collettività”. Gli amministratori pubblici “ottenevano denaro contante o commesse per i propri familiari”, gli imprenditori “appalti con cospicui margini di guadagno”.

Poi sarebbe arrivata l'offerta che non doveva arrivare, dell'imprenditore che al “gioco” non ci sarebbe stata. La busta sarebbe stata “osservata” con una lampada speciale, anche questa sequestrata dai carabinieri, così da sapere come modificare “quella già presentata della ditta che avrebbe dovuto vincere la gara”.


 


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