Cronaca

Veleni negli scarti di fonderia: imprenditore arrestato assieme al figlio

In carcere il dipendente di un'azienda con sede a Sabbio Chiese che, insieme ad una società di Rogno, muoveva le fila di un'organizzazione a delinquere volta allo smaltimento illecito di sostanze pericolose

"Più pericolosi dei narcotrafficanti": così il procuratore aggiunto Sandro Raimondi ha definito i membri dell'associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti di pericolosi, stroncata dai Carabinieri del Ros di Brescia. Ai vertici dell'organizzazione,  due società operanti nel settore della raccolta, della lavorazione e della rivendita degli scarti del ferro: la Montini di Sabbio Chiese e il gruppo Visinoni di Rogno (comune della Bergamasca).

Pesantissime le accuse nei loro confronti: dal reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti pericolosi, alla gestione non autorizzata degli stessi, fino a quello di inquinamento ambientale previsto dall'articolo 452 bis e contestato per la prima volta dalla sua recente introduzione nel codice penale.

I NOMI DEGLI IMPRENDITORI ARRESTATI:

L'inchiesta, nata dalla segnalazione di un onesto imprenditore, ha portato gli investigatori ad indagare su 12 persone di cui una sola è finita in carcere. Si tratta di Roberto Montini, formalmente dipendente ma di fatto a capo dell'omonima azienda. Per il figlio Nicolas e per Maurizio Visinoni, titolare dell'ominimo gruppo bergamasco, sono invece stati disposti gli arresti domiciliari, così come per i classificatori bresciani Rudi Tonni e Floriano Angelo Borra e il veronese Angelo Carugati.

In buona sostanza si trattava di uno 'patto scellerato' - così lo ha definito il procuratore capo di Brescia Tommaso Buonanno - stretto tra chi raccoglieva il materiale di scarto delle fonderie contenente sostanze pericolose, come il Pcb e Nickel Ossido, e chi lo trasportava.

I rifiuti velenosi venivano mischiati al normale rottame e poi ceduti ad ignare fonderie. Per eludere i controlli, i membri dell'organizzazione avevano corrotto alcuni dipendenti al controllo: il carico pericoloso veniva infatti classificato con codici diversi da quelli previsti dalla legge e quindi lavorato e fuso come un normale scarto. 


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