Cronaca

Violenze sulle allieve, il racconto shock: “Avevo paura, accettavo di fare qualsiasi cosa”

La testimonianza shock di una ragazza vittima degli abusi di Carmelo Cipriano, il 43enne di Lonato titolare di una palestra di karate: aveva solo 15 anni quando sarebbe stata molestata per la prima volta

Carmelo Cipriano

Aveva solo 15 anni quando Carmelo Cipriano avrebbe abusato di lei per la prima volta: “Quel giorno mi disse che doveva farmi un massaggio. Ma poi mi ha messo le mani nelle parti intime e mi ha costretto ad avere un rapporto orale, e un altro completo. Ormai era tardi. Sapevo che non era normale, a me lui non interessava. Però avevo paura che si scoprisse quanto accaduto. E più avevo paura, più accettavo di fare qualsiasi cosa”.

La testimonianza shock raccolta dal quotidiano Libero: a parlare è una delle ragazze vittima degli abusi di Carmelo Cipriano, il 43enne di origini siciliane titolare di una palestra di karate a Lonato e già arrestato dai carabinieri per le accuse di violenza sessuale di gruppo, prostituzione minorile, atti sessuali con minori, detenzione di materiale pedopornografico.

Tra le vittime c’è anche lei, quella che in palestra chiamavano “la fidanzata”. Perché questo è quello che lui sarebbe andato a dire, più volte: è la mia fidanzata. “Mi sono iscritta in palestra e lui subito si è mostrato ossessivo – racconta ancora la ragazza, ovviamente in forma anonima –. Diceva che mi avrebbe aiutato a studiare, come in realtà all’inizio faceva. Poi però si arrabbiava, mi minacciava. Fino a quando finivo per essere sempre lì, vicino a lui”.

Sfruttava la “forza” della sua età e del suo ruolo. Ma a quanto pare anche con metodi subdoli. “Mi costringeva a vederlo e a fare quelle cose. Diceva che se no avrebbe rivelato dei nostri rapporti. Minacciava di suicidarsi e io mi sentivo in colpa. Continuava a chiamarmi, a scrivermi messaggi deliranti, fino a seguirmi. Se io disobbedivo o non rispondevo veniva sotto casa mai. E io ero terrorizzata, temevo che qualcuno scoprisse dei rapporti di sesso”.

Era lui a comandare, il maestro di karate. Tutto succedeva “nella stanzina dell’infermeria”, continua la ragazza. “Restavo in palestra dalle 2 del pomeriggio alle 7 di sera, anche la domenica. Si avvicinava, toccava, mi obbligava a inviare foto hard a lui e altri adulti”. Un peso troppo grande, che la povera ragazza si è sempre tenuta dentro.

Tra di loro le ragazze non si parlavano: “Guai, si sarebbe arrabbiato”. E nessuna avrebbe mai avuto il coraggio di reagire, di ribellarsi: “Era impossibile, diventava minaccioso. Ma mi faceva anche sentire in colpa”. Il silenzio è infranto: “Non ne parlavo neanche con i miei genitori, avevo vergogna. Aspettavo la notte, quando finalmente ero sola, per poter piangere”.


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