Cronaca

I danni dell’inquinamento al cervello: "I ragazzi bresciani sono a rischio"

Le prime anticipazioni sui risultati dello studio internazionale condotto tra Brescia e New York da Roberto Lucchini, e che verrà presentato martedì mattina in università

L'inquinamento bresciano (di ieri e di oggi) potrebbe avere effetti deleteri sullo sviluppo e sulla durata delle funzioni cognitive di chi nel Bresciano ci abita. In particolare i ragazzi. Sono questi i primi risultati emersi (ma al momento poco più che indiscrezioni) dalla ricerca internazionale coordinata dal professor Roberto Lucchini, docente di Medicina del Lavoro all'Università di Brescia ma dal 2012 attivo a New York, alla Mount Sinai School of Medicine.

Il metodo di lavoro: in una decina d'anni, dal 2005 al 2015 ma a più riprese, sono stati in tutto analizzati 720 giovanissimi bresciani, studenti delle scuole medie residenti in Valcamonica, sul lago di Garda e nella Bassa Bresciana. Oltre a loro sono stati passati al “setaccio” anche un centinaio di lavoratori e circa 300 anziani.

Il tema dell'analisi: rilevare scientificamente il legame tra inquinamento dei metalli pesanti e rischio per la salute. Ancora presto per dirlo, ma qualcosa si muove. In Valcamonica, ad esempio, dove nonostante il crollo della produzione industriale degli ultimi anni l'aria e l'acqua portano ancora i “segni” di una lunga “contaminazione”.

Gli effetti a lungo termine non sono scientificamente provati. Ma è stato rilevato di come l'incidenza del morbo di Parkinson sia quasi doppia rispetto alla media bresciana: 358 malati ogni 100mila abitanti, invece che 237 ogni 100mila. E ancora: dei 720 ragazzi “sotto esame” ci sarebbe una quota vicina al 15% che presenterebbe anomalie.

Non solo in valle, ovviamente: ma si tratterebbe di anomalie legate all'esposizione “storica” (e quindi forse anche plurigenerazionale) a metalli pesanti inquinanti come manganese, piombo, cadmio, arsenico, mercurio e selenio.

Anche in questo caso gli effetti sono ancora tutti da dimostrare, scientificamente parlando. Ma per poco meno di un centinaio di giovani analizzati potrebbe esserci una compromissione (a lungo termine) di alcune facoltà cognitive. E quindi anche la possibilità, in età adulta o avanzata, di contrarre il Parkinson.

Non solo: altri effetti “pratici” potrebbero essere iperattività, ansia, depressione, perfino un “ritardo intellettivo”. Lo studio internazionale verrà presentato martedì mattina (ore 10) nell'aula magna della facoltà di Economia dell'Università di Brescia.


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