Cronaca

Fatture false per 165 milioni di euro: arrestati tre bresciani

Al vertice dell'associazione a delinquere finalizzata a frodare il fisco (un giro di fatture false da 165 milioni di euro) c'era un 56enne residente a Chiari

Foto d'archivio

Giostravano un enorme giro di fatture false, si parla di circa 165 milioni di euro negli ultimi 3 anni. Una frode realizzata grazie a 17 aziende 'cartiere' tutte con sede nel Bresciano, che ha creato un danno di grosse proporzioni alle imprese oneste del settore metallurgico.

In manette sono finiti un 56enne di Chiari, il figlio e l'amministratore giuridico della società, su cui faceva perno l'associazione criminosa: un 43enne rovatese di origine ma residente a Ospitaletto. Padre e figlio sono in carcere, mentre il 43enne è ai domiciliari.

Dovrebbe essere in carcere, ma risulta ancora latitante, anche il cittadino rumeno membro del sodalizio che si occupava della gestione degli affari illeciti in Romania. Tutti e 4 devono rispondere dei reati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei seguenti reati tributari: emissione e annotazione di fatture fittizie, occultamento delle scritture contabili, riciclaggio di proventi illeciti con l'aggravante della transnazionalità.

L'operazione condotta dal gruppo "Tutela finanza pubblica" del Nucleo di Polizia tributaria della Finanza di Brescia (denominata "Transilvania" perchè  interessava anche Romania, Ungheria e Ucraina) ha portato ad indagare su ben 35 persone e 17 imprese e al sequestro di 9,3 milioni di euro.

Attraverso le società che di fatto amministravano, padre e figlio facevano da intermediari tra realtà che vendevano in nero scorie metalliche di fonderia (il cosiddetto Rottame) e quelle che le acquistavano. Il sistema, ben articolato, prevedeva la cessione di merce in nero da parte di soggetti mai comparsi sul piano documentale. Nella documentazione delle aziende acquirenti finivano così le fatture emesse da una società 'filtro', la faccia pulita del sodalizio, al fine di giustificare i costi sostenuti per la merce comprata in realtà da altre aziende. Le fatture avevano ovviamente un valore superiore a quello del rottame realmente acquistato.  A loro volta le società filtro, per far quadrare il bilancio, utilizzavano in contabilità fatture false emesse da altrettante 'cartiere' che monetizzavano le somme che poi venivano restituite - in contanti - agli acquirenti del rottame, la cui cifra totale è di circa 20 milioni di euro. 

Per prelevare cifre così ingenti senza dare nell'occhio l'organizzazione aveva bisogno di un 'infiltrato': per anni si è avvalsa della connivenza di un impiegato di un ufficio postale milanese, che effettuava tali operazioni senza fare le dovute segnalazioni agli organi di controllo. Successivamente gli indagati hanno trovato più conveniente e sicuro costituire imprese cartiere all'estero: una con sede in Romania, l'altra in Ucraina. Hanno quindi aggirato la sorveglianza bancaria nazionale monetizzando le somme tramite conti correnti radicati in istituti esteri. I contanti prelevati viaggiano poi su grossi camion e raggiungevano l'Italia. 

Oltre ai 9,3 milioni di euro sequestrati, durante le esecuzioni delle ordinanze di custudia cautelate, in borsone rinvenuto a casa di uno degli arrestati sono stati trovati 158mila euro in contati e 39mila euro di assegni.


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