Cronaca

Una fabbrica-prigione per operai sottopagati: c'era anche un bambino

Blitz dei Carabinieri in uno stabilimento di Acquafredda gestito da un imprenditore cinese, che è stato arrestato: gli operai venivano pagati non più di 1,50 euro l'ora

Foto d'archivio

Lavoravano soprattutto tra la sera e la notte, non meno di dieci ore al giorno e pagati circa 3 centesimi per ogni “pezzo” realizzato: erano gli schiavi silenziosi reclutati da un imprenditore cinese che è stato arrestato dai Carabinieri. Un'altra storia di sfruttamento in terra bresciana: questa volta nella Bassa, in una fabbrica di Acquafredda.

In manette ci è finito un giovane cinese, accusato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro: risultava assunto in una ditta di confezionamento di calze da donna, ma di fatto ne era il co-gestore insieme a un suo connazionale, poi risultato irreperibile.

Qui sfruttava diversi operai cinesi, come detto pagati 3 centesimi per ogni calza realizzata, fino a un massimo di 15 euro al giorno, non più di 1,50 euro l'ora. Al momento del blitz i militari hanno sorpreso nove lavoratori irregolari: di questi cinque erano pure senza contratto di lavoro e clandestini sul territorio italiano (senza permesso di soggiorno).

Quella fabbrica era diventata la loro prigione: al piano terra il laboratorio tessile, al primo piano le stanze adibite a dormitori. Tutto questo in pessime condizioni igienico-sanitarie: le stanze erano senza riscaldamento, senza mobili e forse nemmeno la luce. Per intenderci, i vestiti erano ammassati a terra insieme a generi alimentari di vario tipo, in cattivo stato di conservazione.

In quelle stanze, e in quelle condizioni, vivevano anche la moglie dell'imprenditore arrestato, e con lei il figlio ancora piccolo, di appena 8 anni. Il laboratorio è stato ovviamente posto sotto sequestro, il titolare multato di 56mila euro e l'attività immediatamente sospesa. I cinque lavoratori clandestini sono già stati accompagnati in un centro d'accoglienza a Roma.


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